Tralasciando le leggende e le divagazioni
sul tema, la sua estrazione medievale pare certa: torteleti e ravioli
nascono nel tardo medioevo, come derivazione delle torte farcite.
Illustri glottologi fanno derivare il termine tortellino da “torta
o tortula” con cui si indicava una pasta ripiena a foggia
circolare. Altri lo fanno derivare dal latino “torcere”, cioè
dal torcimento in uno straccio delle erbe cotte, che servivano poi
per il ripieno.
Le prime tracce scritte, comunque, si
leggono in una pergamena del 1112: “Tertia pars turtellorum
monachorum est” (la terza parte dei tortelli spetta ai monaci). Da
una bolla di Papa Alessandro III del 1169 apprendiamo che una chiesa
doveva assegnare “duas partes turtellorum”.
I riferimenti continuano nei secoli
successivi, facendo entrare le parole “torteleti” e “ritortelli”
nelle consuetudini della lingua. A Bologna, la prima citazione
compare nel 1289, in un documento dove si legge che uno studente,
incurante del coprifuoco, fu arrestato perché era uscito di notte
senza fiaccola ad acquistare “tortellos” per sé e per i suoi
amici.
In alcuni ricettari del XIV° secolo
viene descritta la preparazione dei “torteletti di enula” (pianta
erbacea perenne, oggi dimenticata, ma all'epoca molto utilizzata),
composti di formaggio, uova, lonza di maiale ed enula, cotti in brodo
di cappone. È interessante osservare che nella parte emiliana la
carne, specie di maiale, era in uso comune nei ripieni, mentre nella
parte romagnola si utilizzavano i formaggi freschi.
Dai ricettari inoltre si evince che il
'300 e il '400 sono stati i secoli d'oro del “torteletto”,
diretto antenato del tortellino ma con una preparazione ancora troppo
lontana dalla ricetta attuale.
In uno scritto del 1518 ad opera del
Maestro Martino, famoso cuoco e gastronomo italiano del XV° secolo,
si comincia ad andare nella direzione giusta: “Togli la bronza
(lombata di maiale), lessala, battila, e togli cascio fresco, poche
uova, spezie forti (noce moscata) e fa un battuto di queste cose.
Empile li tortelli, falli cuocere in brodo di cappone o di qualunque
(carne) e cascio e peverada (brodo ristretto aromatizzato con
formaggio e pepe) per iscodelle”.
Molto interessante è un altro scritto
gastronomico del 1518 con la ricetta dei “ravioli in tempo di
carne” con ripieno di “cacio vecchio”, carne di maiale, petti
di pollo e brodo di cappone. In questa ricetta troviamo finalmente
una misura: “questi ravioli non siano maggiori di mezza castagna”
e, per i tempi di cottura, “lo spazio di tre Pater nostri”.
La forma più vicina all'attuale si
trova nella ricetta del fiorentino Giovanni Del Turco, attivo alla
corte medicea nei primi decenni del '600; vi si descrivono “agnoletti
in minestra” fatti con lasagna sottile, tagliata con lo “sprone e
devono avere la forma di una noce e rivolti in su con le dita” e in
mezzo rimanga un “trogoletto”, ossia un piccolo foro, sempre
cotti in “bonissimo brodo”.
Giuseppe Maria Mitelli nel celebre
“Gioco novo di tutte le osterie di Bologna” descrive i piatti
tipici delle 49 trattorie esistenti nel 1712 a Bologna. Nessuna, però, fa menzione dei tortellini, per il loro costo elevato. Il
tortellino era esclusivo delle feste religiose come Natale e Pasqua,
ma la grassa borghesia doveva mangiarlo anche come cibo abituale,
poiché lo si poteva acquistare nelle bancarelle di Piazza Maggiore
durante tutti i mesi dell'anno, esclusi i quattro della calura.
Un'altra citazione del 1708, nel pranzo
natalizio dei monaci di S. Michele in Bosco, riporta una “minestra
di tortellini”. Nei menù settimanali degli ordini monastici,
risalenti al XVIII° secolo troviamo “tortellini” e “pasticcio
di tortellini” (un preparato gastronomico ora praticamente
sparito).
Nel resoconto dei pranzi dei
Gonfalonieri di giustizia di Bologna, (che si alternavano in carica
ogni due mesi, per impedire eccesso di potere e corruzione), fra le
innumerevoli vivande vi è la “minestra di tortelli in forma
grattata”; nella stessa giornata viene servita inoltre “mortadella
con fichi e insalata” come antipasto e, alla fine, “torta di riso
con zucchero sopra”.
È interessante notare che questi
tortellini erano acquistati nei banchetti di Piazza Maggiore, dove
sicuramente lavoravano alacremente stuoli di sfogline e il prodotto
doveva essere di qualità , se proposto per i Gonfalonieri.
Nell'indicazione della porzione, il numero di tortellini pro capite
non era fisso, ma estremamente variabile, forse per la stessa
variabilità della grandezza. In ogni caso la quantità , consultando
molti documenti, rimane mediamente fra i 40 e i 50 pezzi. Nel
tradizionale pranzo offerto dal Gonfaloniere nel 1788 si servirono 40
pezzi a persona.
La ricetta che Alberto Alvisi, cuoco
del vescovo di Imola, serviva al Cardinale Barnaba Chiaramonti (che
nel 1799 diverrà Papa col nome di Pio VII) oltre alla noce moscata,
alle uova, al grana, prevede per la prima volta il midollo di bue.
Questa variazione ebbe fortuna, tanto che nel tortellino per tutto
l'800 e nella prima metà del '900 il midollo era d'obbligo.
Attualmente la pratica di utilizzare il midollo, a parte alcuni
cultori “ortodossi”, è sostanzialmente scomparsa.
Dagli anni '40 del 1900 i tortellini
vennero venduti anche nelle salumerie, “industrializzando” una
produzione casalinga che si è mantenuta (quasi) sempre di ottimo
livello.
La ricetta autentica è stata
depositata presso un Notaio nel 1974 dalla Dotta Confraternita del
Tortellino e dall'Accademia della Cucina Italiana e prevede
l'utilizzo dei seguenti ingredienti per il ripieno: lombo di maiale,
prosciutto crudo, vera mortadella di Bologna, parmigiano reggiano,
uova, noce moscata. Per il brodo: carne di manzo (doppione), gallina
ruspante, sedano, carota, cipolla, sale.
Secondo i dettami della Confraternita
è, inoltre, fondamentale che le carni del ripieno siano
precedentemente rosolate, la misura del riquadro (cm 4 /4,5 per lato)
e il peso del singolo tortellino (grammi 5).
In this article we tell an all-Italian story, a fairy tale made of floured hands and the scent of nutmeg, full mouths and country colors. The long life of a food that no one sings or tells today (everything is thought to be taken for granted and written), not even in his native land. The history of tortellini winds through time, experiments, textures, manual skills. And while a woman was born from the rib of the man, the tortellino originated from the navel of the latter.
Leaving aside the legends and digressions on the theme, its medieval extraction seems certain: torteleti and ravioli were born in the late Middle Ages, as a derivation of the stuffed cakes. Distinguished glottologists derive the term tortellino from "torta or tortula" which indicated a stuffed pasta with a circular shape. Others derive it from the Latin "torcere", that is, by twisting the cooked herbs in a rag, which were then used for the filling.
The first written traces, however, can be read in a parchment of 1112: "Tertia pars turtellorum monachorum est" (the third part of the tortelli belongs to the monks). From a bull of Pope Alexander III of 1169 we learn that a church was to assign "duas partes turtellorum".
The references continue in the following centuries, bringing the words "torteleti" and "ritortelli" into the customs of the language. In Bologna, the first mention appears in 1289, in a document which states that a student, regardless of the curfew, was arrested because he had gone out at night without a torch to buy "tortellos" for himself and his friends.
In some recipes of the 14th century, the preparation of the "torteletti di enula" (herbaceous perennial plant, now forgotten, but at the time very used at the time), composed of cheese, eggs, pork loin and elecampane, cooked in capon broth is described . It is interesting to note that in the Emilian part, meat, especially pork, was in common use in the fillings, while in the Romagna part fresh cheeses were used.
The recipe books also show that the 14th and 15th centuries were the golden ages of the "torteletto", a direct ancestor of the tortellino but with a preparation still too far from the current recipe.
In a writing of 1518 by Maestro Martino, a famous 15th-century Italian cook and gastronomy, we begin to go in the right direction: “Remove the bronza (pork loin), boil it, beat it, and remove fresh cascio, a few eggs , strong spices (nutmeg) and make a beat of these things. Empile them tortelli, cook them in capon broth or any broth (meat) and cascio and peverada (restricted broth flavored with cheese and pepper) for bowls ”.
Very interesting is another gastronomic writing from 1518 with the recipe of "ravioli in tempo di carne" with a filling of "old cheese", pork, chicken breasts and capon broth. In this recipe we finally find a measure: "these ravioli are not more than half a chestnut" and, for cooking times, "the space of three of our Pater".
The closest form to the present one is found in the recipe of the Florentine Giovanni Del Turco, active in the Medici court in the first decades of the 17th century; they describe "agnoletti in soup" made with thin lasagna, cut with the "spur and must have the shape of a walnut and turned upwards with your fingers" and in the middle there remains a "trogoletto", ie a small hole, always cooked in "very good broth".
Giuseppe Maria Mitelli in the famous "New game of all the taverns in Bologna" describes the typical dishes of the 49 trattorias existing in 1712 in Bologna. None, however, makes mention of the tortellini, for their high cost. The tortellino was exclusive to religious holidays such as Christmas and Easter, but the fat bourgeoisie had to eat it also as usual food, since it could be purchased in the stalls of Piazza Maggiore during all months of the year, excluding the four of the heat.
Another quote from 1708, in the Christmas lunch of the monks of S. Michele in Bosco, reports a "tortellini soup". In the weekly menus of the monastic orders, dating back to the 18th century, we find "tortellini" and "tortellini pasticcio" (a gastronomic preparation now practically gone).
In the report of the lunches of the Gonfalonieri di justice of Bologna, (which alternated in office every two months, to prevent excess power and corruption), among the innumerable foods there is the "grated tortelli soup"; on the same day, "mortadella with figs and salad" is also served as an appetizer and, at the end, "rice cake with sugar on top".
It is interesting to note that these tortellini were purchased in the banquets of Piazza Maggiore, where they certainly worked briskly with vents and the product had to be of quality, if offered for Gonfalonieri. In the indication of the portion, the number of tortellini per capita was not fixed, but extremely variable, perhaps due to the same variability of size. In any case, the quantity, consulting many documents, remains on average between 40 and 50 pieces. 40 pieces per person were served in the traditional lunch offered by the Gonfaloniere in 1788.
The recipe that Alberto Alvisi, cook of the bishop of Imola, served to Cardinal Barnaba Chiaramonti (who in 1799 became Pope with the name of Pius VII) in addition to nutmeg, eggs and parmesan, provides for the first time the ox marrow. This variation was fortunate, so much so that in the tortellino throughout the 1800s and in the first half of the 1900s the marrow was a must. At present, the practice of using the marrow, apart from some "orthodox" lovers, has basically disappeared.
Since the 1940s, tortellini were also sold in delicatessens, "industrializing" a home-made production which has remained (almost) always at an excellent level.
The authentic recipe was filed with a Notary in 1974 by the learned Confraternity of Tortellino and the Academy of Italian Cuisine and involves the use of the following ingredients for the filling: pork loin, raw ham, real mortadella from Bologna, Parmesan cheese, eggs, nutmeg. For the broth: beef (double), free range hen, celery, carrot, onion, salt.
According to the dictates of the Confraternity, it is also essential that the meat of the filling is previously browned, the size of the box (4 / 4.5 cm per side) and the weight of the single tortellino (5 grams).